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Diritti delle persone trans in Europa: il 2025 segna una preoccupante regressione. L’Italia agli ultimi posti.
Per la prima volta in 13 anni, l’Indice e Mappa dei Diritti Trans pubblicato da TGEU
(Transgender Europe and Central Asia) registra un’inversione di rotta: nel 2025 sono stati
sottratti più diritti alla comunità transgender di quanti ne siano stati acquisiti. Un
campanello d’allarme, non solo per le persone trans, ma per la salute della democrazia in
Europa, come sottolineato da Richard Köhler, Senior Policy Officer presso TGEU:
«L’Europa si trova a un bivio molto più cupo. Non si tratta solo di diritti transgender: è una
prova fondamentale di autodeterminazione per le società democratiche. Il modo in cui
rispondiamo ora agli attacchi contro la società civile definisce non solo il futuro delle
comunità vulnerabili, ma l’anima stessa dell’Europa e la sua posizione a livello globale.»
Trans Rights Index & Map
Il report, pubblicato ogni anno dall’organizzazione, analizza la situazione giuridica di 54
Paesi tra Europa e Asia Centrale. Vengono utilizzati 32 indicatori suddivisi in 6 aree
giuridiche, che definiscono i requisiti specifici per ciascun paese rispetto al riconoscimento
legale del genere, alle tutele esistenti per le persone trans in materia di asilo, crimini e
discorsi d’odio, discriminazione, salute e famiglia. Ogni Paese ottiene un punto per ogni
criterio soddisfatto secondo gli indicatori.
L’Italia quest’anno registra 7,5 criteri soddisfatti su 32, collocandosi tra Bulgaria (6 su 32) e
Ucraina (8 su 32), ben al di sotto della Polonia (10,5 su 32) e con un ampio distacco
negativo rispetto agli altri Paesi mediterranei come Spagna (24,5), Portogallo (20) e Grecia
(21). Tra gli altri Stati, spiccano Islanda (30 su 32) e Malta (28 su 32), gli unici due Paesi in
Europa e Asia Centrale ad aver effettivamente depatologizzato l’identità di genere e
riconosciuto la genitorialità delle persone non binarie.
Le criticità italiane: assenza di leggi e mancanza di tutele
Analizziamo nel dettaglio la situazione italiana, esaminando ciascuna delle 6 aree giuridiche.
- Affermazione legale di genere (6 indicatori su 14 soddisfatti):
In Italia esiste un quadro legale che consente alle persone trans di ottenere il riconoscimento
ufficiale della propria identità di genere, ovvero la possibilità di modificare nome e genere
sui documenti. Questo processo è chiamato “affermazione legale di genere” (ALG) e ha
ricevuto attenzione anche da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha
sottolineato l’importanza di garantire procedure rispettose della dignità e dei diritti umani.
Sono presenti alcune tutele importanti:
- La legge prevede una procedura di riconoscimento del genere.
- Esiste un percorso amministrativo o giudiziario che consente di cambiare nome e genere.
- Non è richiesto alcun intervento chirurgico o sterilizzazione per ottenere il riconoscimento
legale del genere.
Tuttavia, le mancanze presenti sono molto gravi: - Il riconoscimento legale non si basa esclusivamente sull’autodeterminazione della
persona: è ancora necessario l’intervento di giudici o esperti. - È richiesta una diagnosi o una valutazione psicologica.
- Anche se non sono necessari interventi chirurgici, sono comunque richiesti altri passaggi
medici. - In caso di matrimonio, è obbligatorio il divorzio prima di poter ottenere la modifica legale
del genere. - Non esistono procedure chiare per il riconoscimento del genere per i minorenni.
- Non esiste alcun riconoscimento delle identità non binarie.
- Asilo (1,5 indicatori su 3 soddisfatti):
L’identità di genere è riconosciuta dalla legge italiana come uno dei motivi validi per
richiedere asilo. Tuttavia, non esistono politiche o piani specifici a livello nazionale che
prevedano misure di protezione dedicate alle persone trans richiedenti asilo. In alcune
regioni italiane è possibile per le persone rifugiate accedere alla procedura di affermazione
legale di genere, ma le informazioni in merito sono spesso poco chiare o difficilmente
accessibili, motivo per cui l’Italia ottiene solo mezzo punto su questo indicatore. - Discorso e crimini d’odio (0 su 3 indicatori soddisfatti):
Non esiste in Italia una legge che riconosca esplicitamente i crimini e i discorsi d’odio
motivati dall’identità di genere come aggravanti. Inoltre, non sono presenti strategie
nazionali specifiche per prevenire o contrastare l’odio nei confronti delle persone trans, né
programmi strutturati per formare le forze dell’ordine o i magistrati su questi temi. - Non discriminazione (0 su 8 indicatori soddisfatti):
L’Italia non dispone di una legislazione che vieti esplicitamente la discriminazione basata
sull’identità di genere nei principali ambiti della vita quotidiana: lavoro, sanità, istruzione,
beni e servizi, alloggio. Anche le istituzioni preposte alla tutela delle pari opportunità non
hanno un mandato chiaro per occuparsi delle persone trans. Mancano inoltre piani d’azione
nazionali specifici e non esiste una legge che riconosca l’espressione di genere come
ambito tutelato contro la discriminazione. - Salute (0 su 2 indicatori soddisfatti):
Nel sistema sanitario italiano mancano ancora tutele specifiche per le persone trans.
Nonostante alcuni progressi internazionali in termini di depatologizzazione, l’Italia non ha
ancora adottato misure chiare in tal senso. Inoltre, non esiste una legge o una politica che
vieti esplicitamente le cosiddette “pratiche di conversione” rivolte alle persone trans, pratiche
considerate dannose e fortemente criticate a livello internazionale. - Famiglia (0 su 2 indicatori soddisfatti):
Infine, anche in ambito familiare, l’Italia presenta gravi lacune. Non esistono norme che garantiscano il riconoscimento della genitorialità delle persone trans in modo coerente con la loro identità di genere. Ad esempio, una persona trans potrebbe trovarsi identificata con un genere non corrispondente alla propria identità nei documenti relativi ai figli. Inoltre, non vi è alcun riconoscimento legale per le persone non binarie nel ruolo di genitore.
Cosa è necessario fare: raccomandazioni a livello europeo
TGEU invita le istituzioni europee e i governi nazionali ad assumere un ruolo più deciso nel
garantire la protezione e il riconoscimento delle persone trans in tutti gli ambiti della vita
civile e sociale. Le richieste principali includono:
1) Rafforzare l’impegno dell’UE nell’attuazione e nel monitoraggio dei diritti delle persone
trans, sostenendo e responsabilizzando gli Stati membri.
2) Integrare l’identità ed espressione di genere in tutte le politiche UE per la parità e nella
normativa antidiscriminatoria.
3) Promuovere i diritti LGBT+ a livello globale, specialmente nei paesi candidati all’adesione,
inserendo parametri sui diritti umani nella politica estera.
4) Sostenere il sistema ONU e rinnovare il mandato dell’Esperto Indipendente su SOGI
come garanzia per i diritti delle persone trans nel mondo.
5) Unire i movimenti sociali e rafforzare la solidarietà tra comunità per resistere
all’arretramento politico e difendere i meccanismi democratici conquistati.
Un impegno necessario per il futuro
In un periodo storico segnato da numerose crisi – geopolitiche, democratiche, economiche,
sanitarie e ambientali – tutelare i diritti delle persone trans non è solo una questione di
giustizia sociale, ma anche un indicatore della capacità di una società di proteggere le sue
minoranze e garantire pari dignità a tutti i suoi membri.
È necessario che l’Italia colmi le gravi lacune normative ancora presenti, adottando leggi
che rispettino pienamente l’autodeterminazione e la dignità delle persone trans. Garantire
i diritti umani a tuttə significa rafforzare la nostra democrazia.
Articolo di Stefano De Finis
Perché l’identità di genere serve nel disegno di legge Zan
Sembra che i motivi per i quali una larga parte della comunità trans* insiste su questa formulazione siano filosofici, o “capricciosi”; in realtà le motivazioni sono sia tecnico-giuridiche, sia di ordine pratico.
Sul piano giuridico, non è affatto vero che l’espressione “identità di genere” sia sconosciuta al nostro sistema; il diritto non è fatto solo di norme ma anche di giurisprudenza e di dottrina.
La giurisprudenza, nelle sue alte espressioni della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, da anni utilizzano questa formulazione.
A solo titolo di esempio, nella sentenza 15138/2015, la Corte di Cassazione, nello stabilire che non sono necessari interventi chirurgici per la rettifica anagrafica, fece riferimento all’identità di genere, anzi al “diritto all’identità di genere inteso come interesse della persona a vedere rispettato nei rapporti esterni ciò che il soggetto è e fa”.
Nella Sentenza della Corte Costituzionale 180/2015, l’espressione “identità di genere” ricorre 20 (venti) volte, e spesso nel contesto del “diritto fondamentale alla propria identità di genere”.
Se la Corte Costituzionale considera l’identità di genere un diritto fondamentale, sostenere che si tratti di una formulazione impalpabile, ambigua e non riconosciuta, o rappresenta ignoranza, oppure strumentalizzazione.
Che cosa sia l’identità di genere non è affatto un mistero: si tratta del senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza o non appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna, io non sono né un uomo né una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita.
Molto concretamente, è ciò che permette a me di affermare che sono una donna.
Un altro motivo sul piano giuridico riguarda proprio la ratio della norma, che così come fu per la cd Legge Mancino, intende colpire motivazioni e non proteggere condizioni.
Sostituire “identità di genere” con “transessualità”, quindi, farebbe perdere alla norma anche un senso logico elementare, perché se uno dei motivi può essere l’orientamento sessuale, e non l’omosessualità, o la bisessualità, o la pansessualità o qualsiasi altra condizione riferita all’orientamento sessuale, allo stesso modo non può essere la transessualità ma l’identità di genere.
Orientamento sessuale e identità di genere sono dimensioni, omosessualità e transessualità sono condizioni di quelle dimensioni.
Che senso avrebbe una norma che colpisse comportamenti fondati sulla transessualità? Ma anche senza essere fini giuristi, proprio nella lingua italiana?
E’ importante, piuttosto, mantenere salda l’ispirazione della norma: non è importante che il soggetto colpito sia nero, o di un’altra religione, o gay, o transgender: è importante che i motivi che ispirano il comportamento sanzionabile siano riferiti all’etnia, alla religione, all’orientamento sessuale o all’identità di genere.
Se un ragazzo eterosessuale viene malmenato perché individuato come gay, e dal contesto concreto questo emerge, questo basta a far rientrare il comportamento nella fattispecie: non è importante che il ragazzo sia effettivamente gay.
Inoltre, ci sono motivazioni anche sotto il profilo più ampio rappresentato dalle lotte che la comunità transgender ha condotto nell’ultima quindicina d’anni per la depsichiatrizzazione, così come accadde oltre trent’anni fa per l’omosessualità: non c’è alcun bisogno di etichette legali riferite a condizioni che, a partire dal 1° gennaio 2022, saranno derubricate tra le condizioni legate alla salute della persona e non più patologizzate.
Non vediamo motivi per usare “transessualità”, termine di origine psichiatrica, proprio all’alba di un nuovo giorno in cui la condizione viene depsichiatrizzata.
Sul piano pratico, poi, ci sono ottimi motivi per continuare a sostenere la necessità di questa formulazione ed escludere categorizzazioni che richiedono qualche “bollino” esterno: le persone che più di tutte, all’interno della comunità trans*, dovrebbero trovare protezione sono quelle fuori dai percorsi canonici medicalizzati, che si propongono in base ad una rappresentazione di sé estranea ai canoni binari e che, proprio per questo, vengono più duramente emarginate ed esposte ad atti di violenza.
Continuiamo a chiedere fermamente che la formulazione “identità di genere” resti nel testo del disegno di Legge Zan, proprio per quella parte della nostra comunità che è meno protetta e più vulnerabile.
La memoria come atto politico, la piazza come difesa dello Stato di diritto
Ogni anno, il 20 novembre, il mondo ricorda le persone trans uccise dalla violenza transfobica.
A Milano, questo momento di memoria collettiva prende forma nella Trans Lives Matter March, che quest’anno si terrà sabato 23 novembre 2025, con partenza da Piazza Oberdan alle 16:00.
Nata nel 2022 da un’idea di Monica J. Romano e Antonia Monopoli, oggi è uno degli appuntamenti più importanti in Italia per i diritti e la dignità delle persone trans.
Non è una ricorrenza, né una semplice commemorazione.
È un gesto politico e civile, un atto di difesa pubblica del diritto a esistere.
Quest’anno marceremo anche per il popolo palestinese, vittima di una tragedia umanitaria che non può lasciarci indifferenti.
Una crisi dello Stato di diritto
Il 2024 ha segnato il numero più alto di morti per transfobia degli ultimi quindici anni.
Ma la violenza non riguarda solo i corpi: attraversa le leggi, la stampa, il linguaggio.
In tutto l’Occidente, governi democratici stanno progressivamente erodendo i principi fondamentali dello Stato di diritto,
e nel farlo hanno trovato un nuovo capro espiatorio: le persone trans.
La propaganda costruisce “emergenze”, il potere le traduce in norme.
Così la transfobia diventa un linguaggio politico, una strategia di governo,
un modo per spostare il consenso e normalizzare la paura.
La memoria come resistenza
Marciare significa ricordare chi non c’è più, ma anche chi è costrettə ogni giorno a sopravvivere in silenzio.
Significa rifiutare che la morte delle persone trans diventi un dato statistico o una notizia di cronaca nera.
Le candele della memoria, distribuite prima della partenza, sono il simbolo di questa luce collettiva:
una luce che non appartiene solo a chi la accende,
ma a chi la guarda e sceglie di non restare in silenzio.
Una piazza per tuttə
La Trans Lives Matter March è accessibile e aperta a chiunque.
Abbiamo scelto un percorso privo di barriere architettoniche,
e chiediamo a ogni realtà di portare con sé una sola bandiera,
perché questa piazza appartiene a tuttə.
📍 23 novembre 2025 — Milano, Piazza Oberdan, ore 17:30
Scendere in piazza significa scegliere da che parte stare.
E nessuno dovrebbe farlo da solə.
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Diritti delle persone trans in Europa: il 2025 segna una preoccupante regressione. L’Italia agli ultimi posti.

Oggi, 16 dicembre, la cantante Arisa ha ripubblicato sul suo profilo Instagram, con tanto di applausi allegati, un post di Repubblica che riportava il discorso fatto presso il Convegno di Atreju dalla Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella.
Nel discorso Roccella sostiene che le donne siano oppresse in quanto aventi un corpo di donna e che «Le filosofie gender, la negazione che si possa usare la parola ‘donna’, lo schwa sono nuove forme di patriarcato e sono un rischio alla libertà delle donne di essere se stesse».
Domani 17 dicembre Arisa sarà ospite e canterà all’evento organizzato a Milano da Orgoglio Porta Venezia. Al momento nel quale scriviamo, ovvero 13 ore dopo quanto accaduto, non sono state rilasciate comunicazioni riguardo all’evento che segnalino la revoca della presenza di Arisa.

Questo è inaccettabile.
È inaccettabile la mancata presa di posizione da parte degli organizzatori dell’evento, che vedrà come ospite un’artista che ha dichiaratamente mostrato la condivisione di tesi transfobiche prima dell’evento.
Orgoglio Porta Venezia è un progetto che ha le sue radici e il suo raggio d’azione all’interno del quartiere Porta Venezia, che è il Rainbow District di Milano.
Non è accettabile per un progetto che è situato nel Rainbow District sviluppare un evento che ha come main guest una persona che sostiene e condivide tesi transfobiche.
Non è accettabile fare un evento rainbow nel quale ci si rende partecipi della svalutazione dell’esistenza stessa delle identità trans.
Non è accettabile mettere un coro LGBT+, come il Checcoro, nella posizione di dover prendere una posizione perché chi organizza l’evento non ha l’onestà intellettuale di farlo.
Come associazione chiediamo al Progetto Orgoglio Porta Venezia, a tutti i rappresentanti degli esercizi commerciali che fanno parte dell’Associazione Commercianti Porta Venezia e tutte le realtà che hanno aderito o partecipano all’evento di prendere una posizione netta in favore della comunità transgenere, che si traduca, anche, nell’azione pratica, che, sottolineiamo, è anche politica, di annullare l’invito fatto nei confronti della cantante Arisa, per i motivi sopra elencati.
Se questa richiesta dovesse non essere accolta, ci dissociamo in toto dal Progetto Orgoglio Porta Venezia.
Perché le vite e le istanze delle persone transgender, non binarie e di genere non conforme non sono, in alcun modo, né saranno mai, qualcosa su cui negoziare.
ACET – Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere
La marcia, organizzata da ACET e Sportello Trans e gemellata con la Trans March torinese, ricorderà le vittime di transfobia.
Gli organizzatori al Sindaco: «Dov’è finito il Registro di Genere approvato in consiglio comunale?»
Si terrà il 19 novembre a Milano la marcia per la commemorazione delle vittime di transfobia e per la rivendicazione dei diritti e delle identità delle persone transgender, non binarie e di genere non conforme, che l’anno scorso ha visto scendere in piazza più di 2000 persone. Con ritrovo alle 16.30 in Piazza Duca D’Aosta – angolo Via Vitruvio – la marcia è organizzata dalle due realtà trans milanesi: l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e lo Sportello Trans di ALA Milano Onlus.
Dopo la prima edizione della marcia lanciata l’anno scorso dalle due attiviste storiche della scena milanese, la Consigliera Comunale Monica J. Romanoe la responsabile dello Sportello Trans ALA Milano Onlus Antonia Monopoli, le due realtà trans lombarde scendono in piazza anche quest’anno in occasione del Transgender Day of Remembrance (TDoR), con la seconda edizione della Trans Lives Matter March, perché “le vite delle persone trans contano”.
La marcia silenziosa per le vie di Milano ha l’obiettivo di commemorare le persone trans* uccise nell’anno precedente e, contemporaneamente, di difendere i pochi diritti acquisiti – “fortemente a rischio in questa fase politica” – ma anche di rivendicare quei diritti che tardano ad arrivare.
«Dov’è finito il Registro di Genere proposto dalla consigliera Monica J. Romano e approvato in consiglio comunale nel maggio del 2022?» – chiedono gli organizzatori al Sindaco. «Dove sono le carriere alias per i dipendenti del Comune di Milano, previste anche dal contratto collettivo nazionale di riferimento dal 2022?» E continuano: «In un momento storico in cui la destra minaccia la nostra stessa esistenza, non vogliamo doverci guardare anche da un’amministrazione di centrosinistra.».
La Trans Lives Matter March quest’anno sarà gemellata con la Trans* March di Torino, che si terrà invece il 18 novembre alle 16.00.
La violenza e le vittime di transfobia
338 sono le vittime solo dell’ultimo anno e crescono di giorno in giorno (solo la scorsa settimana erano 310); Il 95% sono donne trans, per l’81% si tratta di omicidi. L’Italia si aggiudica anche quest’anno il triste primato di paese europeo con il più alto numero di vittime di odio transfobico.Alle morti vanno poi sommate le decine di migliaia di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica agiti nei nostri confronti quotidianamente.
Gli organizzatori denunciano dati e segnalazioni in crescita:
«Nell’ultimo anno questa violenza si è intensificata, le segnalazioni vengono da tutte le realtà locali nel nostro Paese. Segnalazioni che non sono mai state ascoltate né prese in considerazione da questo Governo, che davanti ad un’emergenza di questa portata ha spesso deciso, al contrario, di buttare benzina sul fuoco strumentalizzando la tematica trans in favore di una propaganda ai danni delle stesse persone trans.
Una propaganda che si traduce in atto pratico quando 4 agenti della polizia locale di Milano decidono di picchiare ripetutamente e contemporaneamente una donna trans nonostante non stesse opponendo alcun tipo di resistenza;
quando 22 consiglieri regionali lombardi decidono di presentare una mozione dal titolo «Interventi contro la diffusione dei regolamenti scolastici sulla C.D. “Carriera Alias”», che nel primo testo aveva tra gli obiettivi quello di «Richiedere agli istituti scolastici lombardi che aderiscono alla “carriera alias” di annullarne/disapplicarne il regolamento» e anche di «Intervenire con direttive regionali contro la diffusione nelle scuole della “carriera alias” ed eventuali progetti educativi ad essa connessi, ispirati alla teoria di genere»;
quando un uomo decide di uccidere a coltellate Marta nella sua casa a Roma perché Marta era una donna trans;
quando un altro uomo decide di sgozzare una donna trans nigeriana nel bel mezzo di un parco e quando la stampa racconta la storia di questa donna titolando «Uomo trovato sgozzato nel parco: indossava una parrucca da donna»;
quando Chiara e Veronica, due giovanissime donne trans, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, decidono di togliersi la vita non perché non riescano a convivere con il fatto di essere trans, ma perché non riescono a convivere con l’idea di vivere in uno Stato e in una società che non riconosce nemmeno loro il diritto alla dignità. Uno Stato che non le tutela dalle continue aggressioni che subiscono e che anzi, ultimamente, si impegna a rendere la loro vita più difficile.
Riportare che ci sono 338 vittime in un anno significa comunicare che almeno una persona trans ogni giorno muore in condizioni violente. Quale altra comunità di persone ha un tasso di omicidi così alto?»
Siamo orgogliosi di presentare la mostra fotografica che si svolgerà dal 7 ottobre al 5 novembre 2023 al PAC di Milano (Padiglione d’Arte Contemporanea) del progetto di fotografia sociale RI-SCATTI con la mostra CHIAMAMI COL MIO NOME.
L’ingresso è gratuito.
Sedici persone fra transgender e non-binary raccontano storie vere, amare, gioiose mettendo in luce le loro identità e il sofferto percorso di transizione, accendendo i riflettori sulle difficoltà nel riconoscersi prima ancora che farsi riconoscere e accettare dalla propria famiglia, dai propri amici, dalle istituzioni e dalla società.
Alba, Antonia, Bianca, Elisa, Fede, Ian, Lionel, Logan, Louise, Manuela, Marcella, Mari, Nico, Nico, Riccardo e Seiko sono ə protagonistə di questa nuova edizione di RI-SCATTI.
Tuttə loro hanno trovato la forza e il coraggio di raccontarsi con la macchina fotografica in mano, di mostrarsi con le loro fragilità e insicurezze, riconoscendo e utilizzando la diffusione della conoscenza per mandare il messaggio che siamo persone.
Anche quest’anno ACET è stata presente nel comitato organizzativo del Milano Pride 2023 con interventi interessanti su tematiche molto attuali.
Un sincero Ringraziamento al presidente in carica Guglielmo Giannotta per essere stato presente nel comitato organizzativo e ai volontari che hanno dato il loro prezioso contributo.
“Soluzioni punk alla legge 164”
22 giugno, ore 20:00, piazza Santa Francesca Romana
Questo evento offre un’opportunità unica per apprendere, attraverso una discussione diretta e dalle esperienze delle persone, le difficoltà del percorso di affermazione di genere in Italia, a causa della legge 164/82, che lo regolamenta. Seppur questa legge abbia segnato un progresso significativo per i diritti delle persone transgenere nel nostro Paese, sono molte le sfide e le lacune derivate da una legge ormai obsoleta. Con Monica Romano, consigliera comunale; Laura Caruso, socia fondatrice di ACET; Arono Celeprin, attivista e studente; Alec Sebastian D’Aulerio, attivista e vicepresidente di ACET; Elena Pucci, avvocata civilista e giudice onorario.
“Il percorso ad ostacoli nell’inclusione de* atlet* transgenere“
22 giugno, ore 22:00, piazza Santa Francesca Romana
Negli ultimi anni si è parlato molto di persone transgender nello sport, aprendo un vero e proprio dibattito mediatico. Nel farlo però non si è mai dato spazio alle persone coinvolte e a un importante diritto per la comunità: il diritto allo sport.
Ne parleremo con persone atlete come Valentina Petrillo, Tommaso Fiore e Elisa Ruscio, oltre che l’endocrinologa Giulia Senofonte.