GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO L’OMOBITRANSFOBIA

Dibattito pubblico a Novate Milanese

“GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO L’OMOBITRANSFOBIA”

Si è svolto lo scorso 17 Maggio 2022 – ore 19:00

Iniziativa di divulgazione e approfondimento tematico a Novate Milanese organizzata da:

il circolo “Angelo Airaghi”, il Circolo Steve Biko – P.r.c , il Circolo “Norberto Bobbio “- partito democratico e il gruppo informale, il collettivo “Nuova Casa del Popolo”. 


Hanno parlato:

•  Dott.sa Francesca Martini – Psicologa e consulente sessuologa

•  Dott.sa Marina Cortese – Ginecologa e sessuologa

•  Bianca Iula – Attivista transgender e segretaria del direttivo ACET

•  Ethan Caspani – Attivista transgender
•  Stefano Gibidisco, attivista in Arcigay Milano – gruppo scuola


Principali tematiche affrontate

Cos’è OmoBiTransFobia?
E’ un termine che indica un fenomeno di discriminazione, tramite stereotipi,

che vengono perpetrati nei confronti di persone di un certo tipo di orientamento sessuale o di identità di genere. Omofobia è la paura verso persone attratte da altre dello stesso genere. Bifobia nei confronti da chi è attratto da più di un genere. Transfobia è paura perché hanno un’identità di genere diversa.
Queste paure possono generare violenza verbale, ma anche fisica con uccisioni delle persone bersaglio di queste fobie. In alcuni soggetti fragili possono portare anche al suicidio.
Non sempre però è così palese che ci siano violenze dirette e manifeste. Esistono soprattutto quelle indirette, spesso fatte senza rendersi conto, come ad esempio fare un complimento che risulta fuori luogo.

Siamo tutti omobitransfobici inconsapevoli, in quanto la società ci insegna una serie di regole sin da piccoli che ci trasciniamo dietro per tutta le vita e che possono saltare fuori in maniera inconscia. Non si nasce transfobici, ma lo si impara ed esserlo.

A volte sembra esserci l’idea che si parla troppo di OmoBiTransFobia, che non ci sia più bisogno di parlarne. Come altri problemi sociali finché non saranno davvero risolti, si deve continuare a parlarne soprattutto in una società CIS-gender patriarcale.

Rainbow Europe ha creato una classificazione per nazioni in base alla qualità di vita e benessere delle persone trans, l’Italia è al 35esimo posto su 49 nazioni europee.


Tante piccole discriminazioni sulla qualità di vita che viene ridotta o limitata, si accumulano nella persona creando un disagio, influenzandone umore, riducendo l’autostima fino ad arrivare a creare complicanze psicologiche su soggetti fragili.


Utilizzo dei pronomi corretti rivolgendosi all persone trans.
E’ buona norma, conoscendo una persona trans e non binaria, chiedere che tipo di pronomi utilizzare e non assumere la grammatica dall’aspetto fisico.
Solitamente ragioniamo per stereotipi perché è più semplice. Gli stereotipi sono dannosi perché generalizzano spesso in maniera errata. Un esempio è lo stereotipo relativo alle persone transessuali che sono tutte promiscue, oppure che tutte le persone trans vogliono fare una “transizione medicalizzata” (prima ormonale e poi chirurgica). No, ognuno ha la propria identità e il modo di essere, oppure potrebbe non eseguire le operazioni per motivi di salute o economici.

Ragionando per stereotipi ci sono le “assunzioni”, ovvero di utilizzare la sessualità come un indicatore di qualcosa. Ad esempio si abbina spesso la professione del parrucchiere all’essere gay. Quindi è facile riportare le assunzioni anche sull’orientamento sessuale e al genere.
Un’altra assunzione è che le persone trans non possono fare determinati tipi di lavoro e quindi vengono discriminati*. Ad esempio gli uomini trans non vengono ritenuti adatti a lavori dove occorre più forza fisica, magari nel fare l’operaio.

Altra cosa negativa è il raggruppare le persone per tipologie. Ad esempio: esco con l’amico gay. Voglio uscire con un gruppo di gay. Sono dei non-sense che tipizzano come se fossero una popolazione o un genere.
Quando uscite con una persona CIS dite “esco con il mio amico etero”?. Perché specificare?

Attrazione sessuale e genere sono spesso confusi.

Le persone vengono etichettate dalla società occidentale a livello culturale e sociale che inserisce le persone in due sole categorie: uomini e donne e che il desiderio sessuale, affettivo, amoroso sia destinato solo rivolto verso l’altra categoria. Siamo in una società binaria che prevede solo due stati.
Chi si identifica nello stesso genere biologico è una persona CIS gender. Ad esempio chi è di genere femminile e adotta comportamenti sociali come donna.

Le persone che non si identificano in un genere oppure hanno un’identità di genere differente sono definite transgender che in realtà è un “cappello di generi” molto vasto, ma che non approfondiamo in questa sede perché si apre un mondo di diversità positive. Anche queste sono sotto “un cappello” di identità di genere non conformi.


C’è un’età in cui fare la transizione?

Importante è sapere che non si diventa trans, non si diventa gay, non si diventa bisex. Lo siamo sempre stati anche se magari non lo sapevamo, oppure volevamo nasconderlo a noi stessi e non c’è nulla di male ad esserlo.
Recentemente è diventato più facile trovare il coraggio e fare quello che viene chiamato “coming-out”, uscire allo scoperto e iniziare a vivere come ci si sente di essere davvero.
Nel passato fino agli anni ’80 era reato per un uomo uscire in strada in abiti femminili e si poteva arrivare anche all’arresto. La società di allora stabiliva stereotipi che un uomo dovesse trovarsi un lavoro, una moglie e mettere su famiglia; mentre una donna doveva trovarsi un marito, fare dei figli ed eventualmente trovarsi un lavoro part-time.
Le persone trans che all’epoca pensavano di fare coming-out non lo facevano per paura della discriminazione, del giudizio degli altri e di essere considerate pazze e internate (esistevano ancora i manicomi), oppure costrette a subire operazioni di rettifica (prassi barbara in atto ancora in numerosi paesi del mondo).
Solo poche persone iniziavano la transizione, spesso perché per necessità economiche si prostituivano non potendo trovare nessun altro tipo di lavoro per sostentarsi.

Recentemente c’è più informazione sul web e sebbene non sia sempre una decisione facile, molte più persone decidono che è ora di vivere come si sentono davvero di essere. Questo è anche un motivo per cui ci sono sempre più uomini trans e persone non binarie, esistevano anche prima, ma che non trovavano il coraggio di fare un coming-out, confrontarsi con altre persone trans e non le si “vedeva in giro”.
Il coming-out avviene dopo che per un periodo di vita si sente un malessere interiore, ci si chiede cosa non va in me? Ad un tratto si decide che non si può tenersi tutto dentro.

Come gli altri prendono un coming-out?
Il nucleo familiare è quello che reagisce peggio. Pensano di conoscerti e sapere tutto di te, quando invece, tenendo segrete tante cose, in realtà hanno una conoscenza di come ti sei adeguat* agli stereotipi.
I genitori hanno comunque una reazione forte, a volte di repulsione; all’idea che i loro figli non siano “normali”; che le loro aspettative sulla prole sono state deluse. E’ possibile anche una specie di “fase di lutto” rendendosi conto che ad esempio si è perso un figlio per avere ora una figlia e viceversa. Per le madri è come un secondo parto.
Spesso fratelli e sorelle con bambini piccoli, pensano di proteggere i figli da un trauma, ragionando con la loro mentalità stereotipata. I bambini sotto i sei anni non hanno assolutamente problemi nell’accettare cose nuove. Oltre questa età dipende dall’educazione transfobica che hanno ricevuto (scuola e compagni classe in primis).

Un problema dell’accettazione è relativo a quello che viene definito “passing” che è l’essere identificati con il genere in cui si decide di vivere. La donna trans conoscendo persone nuove viene identificata come donna e trattata di conseguenza. Questo porta da un lato la persona trans a cercare di diventare essa stesa il modello dello stereotipo, dall’altro porta sofferenze emotive ogni qual volta le altre persone si rivolgono con i pronomi errati (misgender).
Ovviamente al coming-out quasi nessuna persona trans è somigliante allo stereotipo di una persona CIS. Le donne Trans stanno cercando di eliminare peli e barba, mentre gli uomini Trans stanno cercando di farsela crescere.
Se è affrontato il mondo esterno e le persone con positività, in generale si viene accettati senza particolari discriminazioni, soprattutto da parte delle donne. Alcune persone trans cercano di avere amicizie solo con altre persone trans e questo porta alla ghettizzazione volontaria. A dispetto di locali “per gay” non esistono locali specifici dove le persone trans si riuniscono. Nel primo caso sono locali per lo più destinati a trovare persone con gli stessi gusti sessuali, mentre le persone trans hanno un identità di genere e una sessualità separate e “non esistono luoghi di incontro trans” a parte la piaga della prostituzione.

Discriminazione sul lavoro.

Una persona LGBT+ può ricevere discriminazioni dai colleghi, dall’azienda, mentre si reca al luogo di lavoro. In linea di massima più una persona ha un’istruzione e una posizione lavorativa specializzata e meno problemi ci saranno. Conta molto più “cosa sai fare” che come sei. Ci sono leggi contro le discriminazioni, ma possono venire facilmente aggirate con scuse qualsiasi e mobbing velati.
Se la persona LGBT+ non ha un lavoro e ne cerca uno che non richiede qualifiche, avrà maggiori difficoltà nel trovarlo, con numerosi candidati l’azienda sceglierà la persone “meno problematica”.

Il fattore economico e lo status sociale influenzano molto l’essere discriminati tanto, poco oppure per nulla.

Percorso di transizione oppure di affermazione di genere?
Il percorso descrive uno stato di movimento da un punto ad un altro e sebbene l’attinenza con un viaggio sia pertinente per le modifiche fisiche e psicologiche che si affrontano, l’affermazione è più pertinente (anche se parola poco usata) e indica che “sono il genere di cui mi sento parte”. Ogni persona trans è diversa a tal punto che sebbene esistono alcuni passaggi similari (ormoni, depilazione laser, operazioni), ognun* sceglie i tempi e modi in base a quando ci si sente pront* per fare un determinato passo. Siamo talmente divers* che vengono prescritti farmaci ormonali differenti a seconda dell’età, della condizione fisica e che la risposta è differente in ognun*. Ad esempio a non tutte cresce il seno, a non tutti cresce la barba.

Come cambia la vita?
Qualsiasi cambiamento, in linea di massima, porta a un beneficio, magari non immediato. la vita della persona LGBT+ diventa più complicata, ma ci si sente più liberi dalle costrizioni che soprattutto ci si era auto-imposto per una sorta di transfobia interiorizzata. Ma un coming-out non è solo una cosa personale, perché si cambia la vita di tutte le persone con cui siamo in contatto e conosceremo in futuro. Si potranno perdere amicizie, che non lo erano davvero, farne di nuove e inattese, senza più giudicare gli altri per stereotipi.
Infine è da tenere presente che “si sarà sempre una persona trans” anche se avrò fatto tutte le operazioni, cambiato i documenti e vivrò al 100% nel genere desiderato. Non è una cosa per nulla negativa se ci si accetta totalmente nelle varie fasi dell’affermazione di genere e che comunque si ha un punto di vista differente dalla massa.

Rettifica di nome e genere sui documenti

Abbiamo una sola legge a riguardo ed è del 1982. L’unica cosa che specifica è che sia un giudice tramite una sentenza a confermare nome, genere e autorizzazione alle operazioni chirurgiche. Quest’ultima richiesta è opzionale, ma indispensabile in quanto in Italia un medico non può operare su un organo sano.

Negli anni seguenti ci sono state varie sentenze e prassi seguite dai giudici che molto spesso non avevano esperienza né informazioni. Chiedendo aiuto ad associazioni medici e psicologi, si è giunti ad avere un percorso legale lungo, travagliato e costoso. Per nulla rispettoso delle persone. E’ comunque possibile abbattere i costi solo se si ha un reddito veramente basso, ma non accorciare i tempi neppure se si è ricchi.

Queste prassi e protocolli non necessari prevedono un periodo svolto con uno psicoterapeuta che dichiari la sanità di mente; un periodo chiamato ‘real life test’ dove la persona trans vive nel genere in cui chiede la rettifica; una documentazione che attesti che si è integrati nella società tramite foto con genitori, fratelli, amici, colleghi di lavoro.

Tutto questo provoca uno stress non indifferente che si prolunga in circa due anni, ma con la paura che al giudice tutti questi documenti non siano ritenuti completi e chieda ulteriori prove nominando quello che è definito CTU (consulente tecnico d’ufficio) che in genere è uno psicoterapeuta che sarà pagato dalla persona trans e prolungherà di mesi tutta la pratica.
Sentire che il proprio destino è in mano a delle persone che devono in qualche modo emettere un giudizio senza conoscerci, che magari ci discriminano, è fonte di stress che si somma a tutto il resto.
Una volta ricevuta la sentenza si dovrà poi verificare che i versamenti INPS siano stati spostate nella nuova identità, modificare il rogito della casa, le utenze domestiche, etc.

Nell’attesa che vengano recepite delle norme nazionali che non prevedano tutte queste dichiarazioni mediche e vengano ridotti i tempi delle pratiche, nel comune di Milano è appena stata approvata una mozione che instaura un “registro di genere” dove le persone trans e di genere non conforme, possono indicare il nome di elezione in sostituzione di quello anagrafico sui documenti di pertinenza del comune quali: tessera mezzi pubblici, della biblioteca, badge dei dipendenti comunali, etc. Inoltre prevede misure per promuovere e rendere effettivo il diritto di voto delle persone transgender che a causa dei seggi divisi tra maschile e femminile, spesso rinunciano ad andare alle urne per evitare disagi o imbarazzi.
Il tutto senza presentare nessuna perizia medica o altri documenti, ma solo presentandosi davanti a un ufficiale di stato civile e fare una dichiarazione col proprio nome di elezione. Questo sarà poi riportato sui documenti di competenza del Comune.

Cosa si può migliorare nella sanità?
Una persona transgender una volta ottenuto il cambio dei documenti non può più accedere con il SSN a una serie di visite, in quanto sono abbinate a un codice fiscale maschile o femminile.
Una persona trans non deve necessariamente sottoporsi a operazioni chirurgiche (cosa che era necessaria fino al 2015) per avere il cambio di nome e di genere, quindi ad esempio un uomo trans deve poter fare una visita ginecologica, ma non può più farla con il servizio pubblico. Lo stesso per una donna trans, anche dopo un eventuale operazione, deve poter fare una visita urologica alla prostata.
Anche l’accesso alla terapia ormonale varia in quanto in base al codice fiscale si può avere un esenzione, avere prescritti determinati farmaci, averli gratis oppure doverli pagare.

Nel sistema sanitario non esiste nulla di pensato, strutturato per le persone LGBT+. Gli studenti di medicina non vengono formati per nulla e ad esempio non hanno la minima idea di quali tipi di ormoni esistano e possono essere prescritti. In tutta la Lombardia ci sono solo una manciata di endocrinologi che hanno esperienza sulle terapie ormonali.
A nessuno viene in mente di chiedere se una donna ha un compagno oppure una compagna, il medico “assume” che abbiamo un compagno. Lo stesso per un uomo dove si assume che abbia una compagna e ci sia un rapporto etero sessuale per forza. Da paziente ci si sente immediatamente discriminati per non parlare dello sbaglio dei pronomi, l’utilizzare il nome di battesimo più e più volte.
Se il paziente in qualche modo dichiara di essere gay, scatta nel medico l’idea che può contrarre l’AIDS.
Manca una cultura perché nessun paziente sia escluso dalle cure e dalla prevenzione. Da statistiche internazionali siamo anche qui in fondo alla classifica con sempre più persone LGBT+ che si astengono dal sottoporsi a visite mediche ed evitano di andare dal dottore. 


Educazione scolastica LGBT+

Viene raccontata l’esperienza di ARCI-Gay facendo formazione nelle scuole sia ai ragazzi che ai docenti, dove quest’ultimi sono coloro che non hanno gli strumenti per gestire situazioni di ragazzi con comportamenti LGBT+.
Le richieste vengono sempre più dalle scuole medie che dalle superiori, richieste per creare degli incontri strutturati per fare chiarezza su cos’è l’identità sessuale spiegando che “chi e cosa sono” è differente da “chi mi piace”.

Qualche richiesta sta iniziando ad arrivare anche dalle scuole elementari.

Sebbene la numerica sia in aumento rispetto alla totalità delle scuole è comunque una piccola cosa.

Questi incontri si svolgono con la presenza del docente che a volte influenza i ragazzi che si sentono in soggezione e non fanno domande a fine sessione. Per ovviare si è provato a far proporre le domande e curiosità che hanno i ragazzi, per iscritto e in forma anonima.

Le domande sono per lo più inerenti per quello che riguarda la sfera sessuale. Molte domande sono di carattere personale rivolte al relatore, questione del tipo “come l’hanno presa i genitori?”. Vengono poste domande anche legate alla trasmissione di malattie di trasmissione sessuale. Infine sul dove possono trovare informazioni relative a certi servizi.

Se si riuscirà in futuro a creare un ambiente che sia accogliente per tutti, è un vantaggio per tutta la collettività che significa crescere degli adulti che saranno più sereni senza sentire la transfobia interiorizzata.


Come combattere la OmoBiTransFobia?
Ognuno può fare un pezzetto nel suo piccolo, magari anche solo esponendo il loro pensiero sui social, come sostenitori della comunità LGBT+.
Le comunità LGBT+ possono e devono fare molto esponendosi e “mettendoci la faccia” con iniziative, partecipando al dibattito pubblico, lanciando un messaggio positivo che non venga strumentalizzato. Facendo coming-out ogni giorno, ogni volta che si incontra una persona, con pazienza e spiegando le cose per come sono e abbattendo gli stereotipi. 



Cosa possono fare le amministrazioni comunali nel loro territorio?

Identità alias nelle scuole. E’possibile farla facilmente modificando il regolamento scolastico a cura del preside. Il vero problema è che la maggior parte dei presidi non sa che esiste questa possibilità e neppure studenti e genitori. Tranne la pagella che è intoccabile, questa modifica permette di fare l’appello in classe e rivolgersi all’alunno con il nome che lo rappresenta (nome di elezione oppure alias).


Fare formazione agli operatori degli uffici comunali su come trattare una persona LGBT+ rispettosa della sua identità compreso il corpo di Polizia Municipale che spesso conosce solo il lato negativo relativi a crimini e prostituzione.

Patrocinare eventi che permettano di mostrare alla cittadinanza la normalità delle persone LGBT+ e ridurre l’ignoranza che va di pari passo con l’omobitransfobia


Promuovere la formazione ai medici che operano sul territorio (MMG, specialisti, farmacisti, dentisti, etc.) su come interagire con persone LGBT+, informazione sui farmaci

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